Negli ultimi anni si è registrato un crescendo di installazioni di sistemi di videosorveglianza per rispondere ad un’impennata della domanda di sicurezza, soprattutto nei luoghi di lavoro
Le nuove tecnologie possono, potenzialmente, attuare un incisivo controllo a distanza sull’attività lavorativa, ma anche sulla vita privata del lavoratore, divenendo, in certi casi, strumenti invasivi che vanno a comprimere la privacy del soggetto filmato.
I principi generali a tutela della privacy dei dipendenti
La prima cosa da chiedersi quando si affronti il tema della protezione dei dati personali, in qualsiasi contesto, è chi sia il titolare del trattamento: ebbene, nel caso in esame quest’ultimo è il soggetto pubblico o privato che determina mini e modalità del trattamento dei dati personali mediante videosorveglianza.
Su questo soggetto si innesta il principio di responsabilizzazione (o “accountability”), introdotto dal GDPR del 2016, ai sensi del quale il titolare del trattamento è responsabile delle scelte e delle azioni messe in campo (art. 5.2 GDPR), e deve darne conto a tutti i soggetti ai quali appartengono i dati trattati (gli interessati), nonché in determinati casi al Garante per la protezione dei dati personali e all’autorità giudiziaria.
Una particolarità della materia risiede nella necessità della doppia informativa. Si tratta di un’informativa minima (il cartello “Area videosorvegliata” da collocare prima del raggio di azione della videocamera ed in una posizione chiaramente visibile) che esisteva già prima del GDPR e traeva la sua legittimità dall’art. 13 comma 3 del vecchio Codice Privacy, ed un’informativa invece completa, che deve essere resa conformemente a quanto disposto proprio dal GDPR.
Quest’ultima deve contenere una pluralità di informazioni essenziali: i dati di contatto del titolare del trattamento, quelli del Responsabile della Protezione dei Dati (DPO), se presente, le finalità del trattamento, la base giuridica che generalmente risiede nell’interesse legittimo del titolare ex art. 6, comma 1, lett. f) del GDPR, i destinatari del trattamento, l’eventuale trasferimento degli stessi all’estero, i diritti dell’interessato ex artt. 15, 16, 17, 18 e 21, ed infine le finalità del trattamento. Per quanto riguarda quest’ultime il punto 2 del provvedimento 2010 del Garante privacy individua alcune finalità del trattamento che possono essere utilizzate dai titolari: protezione e incolumità degli individui, protezione della proprietà, rilevazione, prevenzione e controllo delle infrazioni svolti dai soggetti pubblici, nel quadro delle competenze ad essi attribuite dalla legge, acquisizione di prove. Certo è che le finalità del trattamento debbano essere determinate, esplicite e legittime.
Videosorveglianza in azienda: cosa dice la legge
Quando si parla di installazione di sistemi di videosorveglianza nelle aziende, oltre alle regole in materia di tutela della privacy previste dal GDPR e analizzate nel paragrafo precedente, trovano applicazione le regole dettate a tutela del lavoratore. Ecco, quindi, che la materia impone di affiancare il GDPR all’altra normativa di riferimento, ossia lo Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970).
L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori pone il divieto generale del controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. La norma, tuttavia, considera anche la necessità dell’imprenditore di installare impianti audiovisivi per altri fini espressamente indicati: esigenze organizzative e produttive, sicurezza sul lavoro, tutela del patrimonio aziendale. Si pensi, come esempi esemplificativi, ad ipotesi quali garantire tutela del patrimonio aziendale di fronte a danneggiamenti, o esigenze produttive quando vi sono macchinari che necessitano di un monitoraggio costante.
Il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) o aziendali (RSA) devono sottoscrivere un accordo collettivo contenente la regolamentazione del funzionamento e dell’utilizzo dell’impianto di videosorveglianza. Qualora invece l’accordo non venga raggiunto, o nel caso in cui in azienda non siano presenti la rappresentanza sindacale unitaria (RSU) o aziendale (RSA), il datore di lavoro deve rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro territoriale per chiedere ed ottenere un’autorizzazione all’installazione del’’impianto, depositando un’istanza ampiamente motivata.
Non è quindi sufficiente che i dipendenti siano semplicemente a conoscenza del’’installazione dell’impianto grazie ad un comunicato o ad un cartello informativo, tant’è che l’accordo o l’autorizzazione sono necessari anche qualora l’impianto entri in funzione nelle fasce orarie in cui l’azienda è vuota, e per altro verso, è irrilevante che l’impianto installato non sia funzionante.
La violazione di suddette prescrizioni è disciplinata e penalmente sanzionata dal combinato disposto degli artt. 4 e 38 della legge n. 300 del 1970.